Quando si agisce può accadere di ottenere il risultato cercato, ovvero fare un passo avanti, magari anche di vincere. Oppure può accadere l’esatto contrario. Perché fare significa sempre rischiare. Per contro quando si rimane con le mani in mano, timidi e impauriti nel mettersi in gioco, si può essere certi che non si compiranno passi avanti, non si resterà fermi al palo, ma si arretrerà. Poi occorrerà recuperare. Insomma, l’immobilismo strisciante non paga, presenta sempre il conto e serve un piatto indigesto, o addirittura avariato dal trascorrere inesorabile del tempo. Quella descritta è un po’, per sommi capi, la storia della politica ticinese con i suoi corsi e ricorsi storici. Sempre, dopo un sonno profondo, si risveglia bruscamente accorgendosi che «c’è da fare» perché quello che appariva come un innocuo fuocherello, è ormai un vasto incendio. I conti del Cantone per il 2024 e il pacchetto di misure di riequilibrio finanziario rispondono perfettamente alla logica del perverso meccanismo che con cadenza ciclica si ripete: cambiano le cifre, cambiano le persone, ma resta la sostanza delle cose. Il copione è rispettato e anche i prossimi passi sono già scritti. Il Consiglio di Stato, letteralmente motionless nell’osservare il peggioramento delle finanze cantonali un anno fa, oggi richiama tutti gli attori usando in sequenza termini quali «dialogo, collaborazione e senso di responsabilità» e lo cube nella consapevolezza di seguire il copione della drammatica-commedia che seguirà. Intanto, per direttissima sono già piovute le prime reazioni con il solito comun denominatore: dire no, opporsi, indignarsi, usando sempre e comunque le parole advert effetto del gergo politico nostrano, che con il trascorrere del tempo hanno conosciuto inflessioni d’importazione. Vien da dire che tutto il mondo è paese e che non c’è nulla di nuovo in questo primo (e pure tardivo) scorcio d’autunno. Al Governo va certamente mosso il rimprovero di aver atteso troppo a lungo prima di prendere in mano il timone, ma ha almeno un’attenuante. In Ticino esiste una regola non scritta che cube che le mosse si fanno nel primo biennio della legislatura, poi si entra nella crescente onda della campagna elettorale e nessun attore della politica (in primis i parlamentari e le segreterie dei partiti) desiderano essere distratti dall’unica corsa e battaglia che conta: quella per il cadreghino. Pertanto, sarebbe poco onesto attribuire l’immobilismo unicamente al Governo, diremmo piuttosto che si tratta del frutto di un tacito accordo che regge ormai da anni e che non necessita neppure di una delle troppe (e talvolta inutilmente ridondanti) parole che ci serve la politica con il piatto indigesto che oggi abbiamo sul tavolo, senza che dal buffet vi sia altro di migliore, gradito a tutti, per soddisfare l’improcrastinabile necessità di risanare i conti.